Nell’età adulta l’artrosi del ginocchio è la principale causa di dolore, invalidità e uso di risorse sanitarie con crescente preoccupazione riguardo alla sua aumentata incidenza e carico socioeconomico.
La protesi totale di ginocchio eseguita per artrosi è un intervento che riduce il dolore e migliora la funzione e la qualità della vita.
Rappresenta una delle procedure più eseguite nella chirurgia ortopedica in virtù degli incoraggianti risultati ottenuti negli ultimi anni nella gran parte dei pazienti.
L’invecchiamento e l’incremento della popolazione obesa hanno avuto come conseguenza l’aumento delle richieste di questa procedura.
L’artrosi è un’affezione di tipo degenerativo cronico, nella quale le alterazioni di base si estrinsecano prevalentemente a carico della cartilagine articolare, ma interessano anche l’osso circostante, la sinovia, la capsula e i legamenti.

Inquadrabile nel grande capitolo delle malattie reumatiche, l’artrosi rappresenta per incidenza il 72,6% delle stesse e, secondo dati epidemiologici ministeriali, i casi di artrosi registrati per anno ammontano a circa quattro milioni. La patologia aumenta progressivamente in frequenza con l’età, mediante un meccanismo di correzione tuttora non noto. Tale incremento è puramente progressivo fino ai 50 anni di età per diventare esponenziale oltre i cinquant’anni. Se nelle manifestazioni precoci, prima dei 45 anni, ne è prevalentemente interessato il sesso maschile, dopo i 45 anni è il sesso femminile ad esserne maggiormente colpito. L’età avanzata è uno dei fattori di rischio più fortemente associato.
La prevalenza della patologia varia dallo 0,1% tra i 25 e i 34 anni, all’80% nei pazienti con più di 55 anni.
I fattori meccanici giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi dell’artrosi: le alterazioni istopatologiche si manifestano infatti quando il tessuto cartilagineo non è più in grado di resistere agli stress meccanici. Può accadere per eccessive sollecitazioni nella cartilagine sana o per sollecitazioni fisiologiche nella cartilagine danneggiata o patologica.
I fattori meccanici giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi dell’artrosi: le alterazioni istopatologiche si manifestano infatti quando il tessuto cartilagineo non è più in grado di resistere agli stress meccanici. Può accadere per eccessive sollecitazioni nella cartilagine sana o per sollecitazioni fisiologiche nella cartilagine danneggiata o patologica.

Fattori di rischio biomeccanici, potenzialmente correggibili, comprendono: l’obesità, il disallineamento degli arti inferiori e i microtraumi ripetuti, che possono condizionare la localizzazione e la severità del quadro clinico. La probabilità di sviluppare la patologia artrosica sembra essere legata alla etnia. Infatti, mentre la gonartrosi ha una prevalenza uniforme in tutte le etnie, la coxartrosi e l’artrosi delle mani sembrano essere predominanti nella etnia caucasica. Nonostante alcuni studi su gemelli abbiano evidenziato una ereditarietà dell’osteoartrosi fino al 65% per la forma idiopatica di mani e ginocchia, suggerendo quindi una predisposizione genetica, non sono ancora stati individuati i geni specifici responsabili dell’artrosi. Per diversi tipi di displasie ossee/cartilaginee sono state identificate svariate mutazioni nei geni codificanti il collagene, ma nessuna mutazione è stata invece rilevata nei geni che codificano le proteine strutturali della matrice cartilaginea: tale aspetto potrebbe essere fondamentale per determinare la suscettibilità della artrosi idiopatica. Solo di recente sono stati identificati alcuni polimorfismi dei geni codificanti le proteine coinvolte nel processo di sviluppo e mantenimento della cartilagine articolare, risultanti associati all’artrosi dell’anca in alcuni gruppi etnici. L’artrosi può presentarsi come quadro mono-articolare o più frequentemente poli-articolare; per incidenza, le sedi di maggior riscontro sono: colonna lombare, seguita da colonna cervicale, anca e ginocchio. Certamente inferiore il riscontro a livello di piede, mano e colonna dorsale. La patologia può essere condizionata da fattori genetico razziali, come risulta dal maggior riscontro nelle popolazioni di nativi americani (68% di incidenza) o dalle etnie africane (70%) rispetto, per esempio, quelle asiatiche (inferiore al 20%).
È possibile distinguere un’artrosi primaria, identificabile come una alterazione metabolica degenerativa della cartilagine articolare priva di eventi anamnestici o malattie concomitanti, da un’artrosi secondaria correlabile a un evento malattia in cui il processo degenerativo è riferibile a fattori del tutto estrinseci la cartilagine. L’artrosi primaria a sua volta può essere distinta in localizzata (colpente selettivamente una porzione tra rachide, ginocchio, anca, mano, piede, altre sedi) o generalizzata (nel qual caso possono essere cointeressate le piccole e grandi articolazioni, le piccole articolazioni e il rachide, le grandi articolazioni, il rachide e infine tutte le articolazioni e il rachide). L’artrosi secondaria può conseguire a: un trauma, una malattia congenita acquisita generalizzata, una malattia metabolica o una displasia ossea localizzata come la displasia congenita dell’anca, la scoliosi, una malattia di depositi di calcio come ad esempio artropatia da idrossiapatite, oppure ad altre affezioni articolari come la necrosi avascolare, l’artrite gottosa, l’artrite settica, la malattia di Paget, l’osteopetrosi e le osteocondrosi. Occorre ricordare, però, che esistono correlazioni, interferenze delle forme secondarie nell’ambito delle forme primarie con espressività clinica e diagnostica strumentale, oltre che un quadro anatomopatologico, differenti a tal punto da mettere in discussione l’unicità della malattia stessa. In conformità a tutto questo, si è attualmente propensi a non inquadrare l’artrosi come singolo processo morboso, bensì come una vera e propria sindrome che rappresenta la risposta della cartilagine articolare a una serie molteplice di stimoli e noxæ patogeni.
La gonartrosi, ovvero l’osteoartrosi colpente l’articolazione del ginocchio, interessa più frequentemente il compartimento femoro-tibiale mediale e quello femoro-rotuleo ma, potenzialmente, può coinvolgere tutti e tre i compartimenti del ginocchio. L’interessamento prioritario del compartimento mediale è caratteristico della deviazione in varo del ginocchio. La deformità in valgo, più rara, si associa invece alla degenerazione laterale. La sintomatologia è accentuata dal carico, dalla deambulazione e dalla salita e discesa delle scale. La deambulazione assume connotazioni antalgiche esitando in una zoppìa di fuga, l’articolarità può inoltre essere più o meno limitata e dolorosa.
In fase avanzata si può osservare la comparsa di una contrattura in flessione con conseguente deficit estensorio. L’interessamento del compartimento laterale del ginocchio, soprattutto nell’uomo, si riscontra spesso in seguito a una meniscectomia o a un precedente trauma.
La classificazione di Kellgren Lawrence è un sistema di valutazione e quantificazione della gravità dell’artrosi di ginocchio. La classificazione dell’artrosi è basata sulla valutazione delle radiografie standard in antero-posteriore e sotto carico, in appoggio bipodalico.
La scala di Kellgren Lawrence ( classifica l’artrosi di ginocchio in 5 gradi ove, aumentando il punteggio, la gravità diviene marcatamente visibile. I parametri impiegati nella definizione dei gradi sono: la riduzione della rima articolare e la presenza di osteofiti e la sclerosi dell’osso subcondrale.
- Grado 0: modificazioni artrosiche non visibili.
- Grado 1: dubbio restringimento dello spazio articolare e minuta formazione di osteofiti.
- Grado 2: minime alterazioni del profilo marginale, formazione limitata di osteofiti e possibile restringimento della rima articolare.
- Grado 3: moderate e multiple formazioni osteofitosiche, restringimento visibile e limitato della rima articolare e sclerosi ossea subcondrale iniziale non marcata.
- Grado 4: severo restringimento della rima articolare con marcata sclerosi dell’osso subcondrale, deformazione ossea visibile e non discutibile, ampia formazione di osteofiti.

La protesi totale di ginocchio è uno degli interventi più praticati dagli ortopedici. Negli ultimi 50 anni sono state apportate numerose modifiche ai sistemi protesici per ottimizzarne i risultati, in termini di sopravvivenza e di qualità di vita. L’evoluzione nelle tecniche e nei sistemi di impianto è stata esponenziale e si è recentemente modificata radicalmente.
L’avvento delle protesi totali di ginocchio a compartimenti mobili ha permesso l’incorporazione di una rotazione assiale molto simile a quella che avviene nel ginocchio fisiologico. Le protesi a compartimenti mobili riducono la forza di torsione e permettono un’estrema congruenza tra la componente femoro-tibiale e patello-femorale. Questo concetto si basa sull’aumento dell’area di contatto con riduzione dello stress di carico per unità di superficie e con conseguente riduzione delle possibili lesioni all’inserto polietilenico.

L’indicazione principale per la protesi totale di ginocchio è alleviare il dolore causato da fenomeni artrosici gravi, con o senza deformità significativa.
La protesi totale del ginocchio rappresenta la tecnologia più avanzata nella gestione dall’artrosi severa.
La domanda chirurgica di protesi totali di ginocchio (PTG) è in aumento con più di 90000 PTG eseguite annualmente nel Regno Unito.
I pazienti in attesa di PTG sperimentano spesso dolore acuto, limitazione funzionale e angoscia.
La protesi monocompartimentale di ginocchio
La protesi totale di ginocchio non cementata a piatto mobile
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