Introduzione
Nei pazienti con gonartrosi sottoposti a protesi totale di ginocchio , un percorso di fisioterapia preoperatoria può abbreviare la degenza ospedaliera e nelle cliniche riabilitative migliorando risultati nel breve e lungo termine.
Anatomia del ginocchio
Il ginocchio è un’articolazione di carico vincolante, che unisce coscia e gamba; è composto da due articolazioni: una tra il femore e la tibia (femoro-tibiale), l’altra tra l’osso sesamoide denominato patella e la sottostante superficie anteriore femorale (articolazione patello-femorale).

L’articolazione del ginocchio risulta la più complessa ed ampia dello scheletro umano. Mentre le superfici articolari sembrano identificarla come un’articolazione estremamente mobile, l’apparato legamentoso, ad essa connesso, ne riduce i movimenti a flessione ed estensione, mentre intrarotazione ed extrarotazione risultano minime ma fondamentali biomeccanicamente.
Le componenti articolari del femore, della tibia e della rotula sono ricoperte da cartilagine ialina articolare che consente agli elementi scheletrici di scivolare e ruotare uno sopra l’altro con un basso attrito. Gli strati superficiali della cartilagine funzionano come cuscinetti deformabili e grazie alle loro proprietà visco elastiche distribuiscono meglio i carichi. Nella cartilagine normale è presente una stretta correlazione tra struttura e composizione biochimica, orientamento delle fibrille e sue proprietà biomeccaniche.
Un’interruzione di questo equilibrio determina modifiche delle proprietà biochimiche e biomeccaniche della cartilagine con conseguenti alterazioni delle sue capacità di trazione e minore possibilità di assorbimento dei carichi.
Gonartrosi
Nell’età adulta l’artrosi è la principale causa di dolore, invalidità e uso di risorse sanitarie con crescente preoccupazione riguardo alla sua aumentata incidenza e carico socioeconomico.
La protesi totale di ginocchio eseguita per artrosi è un intervento che riduce il dolore e migliora la funzione e la qualità della vita.
Rappresenta una delle procedure più eseguite nella chirurgia ortopedica in virtù degli incoraggianti risultati ottenuti negli ultimi anni nella gran parte dei pazienti.
L’invecchiamento e l’incremento della popolazione obesa hanno avuto come conseguenza l’aumento delle richieste di questa procedura.
L’artrosi è un’affezione di tipo degenerativo cronico, nella quale le alterazioni di base si estrinsecano prevalentemente a carico della cartilagine articolare, ma interessano anche l’osso circostante, la sinovia, la capsula e i legamenti.
Inquadrabile nel grande capitolo delle malattie reumatiche, l’artrosi rappresenta per incidenza il 72,6% delle stesse e, secondo dati epidemiologici ministeriali, i casi di artrosi registrati per anno ammontano a circa quattro milioni. La patologia aumenta progressivamente in frequenza con l’età, mediante un meccanismo di correzione tuttora non noto. Tale incremento è puramente progressivo fino ai 50 anni di età per diventare esponenziale oltre i cinquant’anni. Se nelle manifestazioni precoci, prima dei 45 anni, ne è prevalentemente interessato il sesso maschile, dopo i 45 anni è il sesso femminile ad esserne maggiormente colpito. L’età avanzata è uno dei fattori di rischio più fortemente associato.
La prevalenza della patologia varia dallo 0,1% tra i 25 e i 34 anni, all’80% nei pazienti con più di 55 anni.

I fattori meccanici giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi dell’artrosi: le alterazioni istopatologiche si manifestano infatti quando il tessuto cartilagineo non è più in grado di resistere agli stress meccanici. Può accadere per eccessive sollecitazioni nella cartilagine sana o per sollecitazioni fisiologiche nella cartilagine danneggiata o patologica.
Fattori di rischio biomeccanici, potenzialmente correggibili, comprendono: l’obesità, il disallineamento degli arti inferiori e i microtraumi ripetuti, che possono condizionare la localizzazione e la severità del quadro clinico. La probabilità di sviluppare la patologia artrosica sembra essere legata alla etnia. Infatti, mentre la gonartrosi ha una prevalenza uniforme in tutte le etnie, la coxartrosi e l’artrosi delle mani sembrano essere predominanti nella etnia caucasica. Nonostante alcuni studi su gemelli abbiano evidenziato una ereditarietà dell’osteoartrosi fino al 65% per la forma idiopatica di mani e ginocchia, suggerendo quindi una predisposizione genetica, non sono ancora stati individuati i geni specifici responsabili dell’artrosi. Per diversi tipi di displasie ossee/cartilaginee sono state identificate svariate mutazioni nei geni codificanti il collagene, ma nessuna mutazione è stata invece rilevata nei geni che codificano le proteine strutturali della matrice cartilaginea: tale aspetto potrebbe essere fondamentale per determinare la suscettibilità della artrosi idiopatica. Solo di recente sono stati identificati alcuni polimorfismi dei geni codificanti le proteine coinvolte nel processo di sviluppo e mantenimento della cartilagine articolare, risultanti associati all’artrosi dell’anca in alcuni gruppi etnici. L’artrosi può presentarsi come quadro mono-articolare o più frequentemente poli-articolare; per incidenza, le sedi di maggior riscontro sono: colonna lombare, seguita da colonna cervicale, anca e ginocchio. Certamente inferiore il riscontro a livello di piede, mano e colonna dorsale. La patologia può essere condizionata da fattori genetico razziali, come risulta dal maggior riscontro nelle popolazioni di nativi americani (68% di incidenza) o dalle etnie africane (70%) rispetto, per esempio, quelle asiatiche (inferiore al 20%).
È possibile distinguere un’artrosi primaria, identificabile come una alterazione metabolica degenerativa della cartilagine articolare priva di eventi anamnestici o malattie concomitanti, da un’artrosi secondaria correlabile a un evento malattia in cui il processo degenerativo è riferibile a fattori del tutto estrinseci la cartilagine. L’artrosi primaria a sua volta può essere distinta in localizzata (colpente selettivamente una porzione tra rachide, ginocchio, anca, mano, piede, altre sedi) o generalizzata (nel qual caso possono essere cointeressate le piccole e grandi articolazioni, le piccole articolazioni e il rachide, le grandi articolazioni, il rachide e infine tutte le articolazioni e il rachide). L’artrosi secondaria può conseguire a: un trauma, una malattia congenita acquisita generalizzata, una malattia metabolica o una displasia ossea localizzata come la displasia congenita dell’anca, la scoliosi, una malattia di depositi di calcio come ad esempio artropatia da idrossiapatite, oppure ad altre affezioni articolari come la necrosi avascolare, l’artrite gottosa, l’artrite settica, la malattia di Paget, l’osteopetrosi e le osteocondrosi. Occorre ricordare, però, che esistono correlazioni, interferenze delle forme secondarie nell’ambito delle forme primarie con espressività clinica e diagnostica strumentale, oltre che un quadro anatomopatologico, differenti a tal punto da mettere in discussione l’unicità della malattia stessa. In conformità a tutto questo, si è attualmente propensi a non inquadrare l’artrosi come singolo processo morboso, bensì come una vera e propria sindrome che rappresenta la risposta della cartilagine articolare a una serie molteplice di stimoli e noxæ patogeni.
La gonartrosi, ovvero l’osteoartrosi colpente l’articolazione del ginocchio, interessa più frequentemente il compartimento femoro-tibiale mediale e quello femoro-rotuleo ma, potenzialmente, può coinvolgere tutti e tre i compartimenti del ginocchio. L’interessamento prioritario del compartimento mediale è caratteristico della deviazione in varo del ginocchio. La deformità in valgo, più rara, si associa invece alla degenerazione laterale. La sintomatologia è accentuata dal carico, dalla deambulazione e dalla salita e discesa delle scale. La deambulazione assume connotazioni antalgiche esitando in una zoppìa di fuga, l’articolarità può inoltre essere più o meno limitata e dolorosa.
In fase avanzata si può osservare la comparsa di una contrattura in flessione con conseguente deficit estensorio. L’interessamento del compartimento laterale del ginocchio, soprattutto nell’uomo, si riscontra spesso in seguito a una meniscectomia o a un precedente trauma.
La classificazione di Kellgren Lawrence è un sistema di valutazione e quantificazione della gravità dell’artrosi di ginocchio. La classificazione dell’artrosi è basata sulla valutazione delle radiografie standard in antero-posteriore e sotto carico, in appoggio bipodalico.
La scala di Kellgren Lawrence classifica l’artrosi di ginocchio in 5 gradi ove, aumentando il punteggio, la gravità diviene marcatamente visibile. I parametri impiegati nella definizione dei gradi sono: la riduzione della rima articolare e la presenza di osteofiti e la sclerosi dell’osso subcondrale.
- Grado 0: modificazioni artrosiche non visibili.
- Grado 1: dubbio restringimento dello spazio articolare e minuta formazione di osteofiti.
- Grado 2: minime alterazioni del profilo marginale, formazione limitata di osteofiti e possibile restringimento della rima articolare.
- Grado 3: moderate e multiple formazioni osteofitosiche, restringimento visibile e limitato della rima articolare e sclerosi ossea subcondrale iniziale non marcata.
- Grado 4: severo restringimento della rima articolare con marcata sclerosi dell’osso subcondrale, deformazione ossea visibile e non discutibile, ampia formazione di osteofiti.

La protesi totale di ginocchio è uno degli interventi più praticati dagli ortopedici. Negli ultimi 50 anni sono state apportate numerose modifiche ai sistemi protesici per ottimizzarne i risultati, in termini di sopravvivenza e di qualità di vita. L’evoluzione nelle tecniche e nei sistemi di impianto è stata esponenziale e si è recentemente modificata radicalmente.

L’avvento delle protesi totali di ginocchio a compartimenti mobili ha permesso l’incorporazione di una rotazione assiale molto simile a quella che avviene nel ginocchio fisiologico. Le protesi a compartimenti mobili riducono la forza di torsione e permettono un’estrema congruenza tra la componente femoro-tibiale e patello-femorale. Questo concetto si basa sull’aumento dell’area di contatto con riduzione dello stress di carico per unità di superficie e con conseguente riduzione delle possibili lesioni all’inserto polietilenico.
L’indicazione principale per la protesi totale di ginocchio è alleviare il dolore causato da fenomeni artrosici gravi, con o senza deformità significativa.
La protesi totale del ginocchio rappresenta la tecnologia più avanzata nella gestione dall’artrosi severa.
La domanda chirurgica di protesi totali di ginocchio (PTG) è in aumento con più di 90000 PTG eseguite annualmente nel Regno Unito.
I pazienti in attesa di PTG sperimentano spesso dolore acuto, limitazione funzionale e angoscia.
In seguito all’impianto di una protesi totale di ginocchio quasi il 20% dei pazienti non si dichiarano soddisfatti a causa di molteplici fattori, il principale dei quali è legato alle migliori aspettative preoperatorie. Persino tra i pazienti soddisfatti della protesi totale di ginocchio, la prevalenza di sintomi residui come gonfiore, rigidità e limitazione funzionale è alta.
L’ottimizzazione delle cure preoperatorie è un’importante strategia per ridurre questo tipo di problemi. Per esempio, l’educazione preoperatoria alla protesi totale di ginocchio aiuta a stabilire aspettative realistiche, può ridurre l’ansia preoperatoria e la lunghezza del ricovero ospedaliero. Revisioni sistematiche della letteratura suggeriscono che effettuare esercizi preoperatori -in attesa della protesi totale di ginocchio- riduce la degenza ospedaliera e migliora i risultati postoperatori. La componente chiave del programma di riabilitazione preoperatoria sono gli esercizi preoperatori, progettati per facilitare il recupero postoperatorio e l’ottimizzazione del benessere e della salute preoperatoria. Un approccio multimodale alla preriabilitazione è in ogni caso auspicabile ed è per questo che i programmi preriabilitativi includono altri interventi quali l’abbandono del fumo e il supporto psicologico.
Nonostante i potenziali benefici della fisioterapia preoperatoria alla protesi totale di ginocchio i servizi proposti sono attualmente molto diversi tra loro. Per esempio, non molti ospedali provvedono a istruire il paziente e a fornire un programma di esercizi preoperatori in previsione della chirurgia di protesi totale di ginocchio. Tra quelli che lo fanno si rileva ampia variabilità di contenuto nei programmi, che possono essere di gruppo o individuali.
Una recente pubblicazione inglese afferma che i pazienti in attesa di protesi totale di ginocchio debbano ricevere informazioni preoperatorie e consigli di preriabilitazione. Le linee guida mancano di dettagli circa i contenuti e la modalità di svolgimento della fisioterapia preoperatoria, non chiariscono come e dove debba essere svolta e si basano su una insufficiente letteratura scientifica, mettendo in risalto come in questo campo debbano ancora essere effettuati molti altri studi.
In seguito all’operazione (per rimettersi in piedi, camminare e riprendere le funzioni quotidiane) i pazienti necessitano di assistenza fisioterapica; la fisioterapia è infatti pratica comune e obbligata per aiutare i pazienti a riprendere le azioni quotidiane: deambulare, lavarsi, vestirsi, sedersi, alzarsi, sdraiarsi, ecc.
Preriabilitazione
Allo scopo di migliorare i risultati, negli operati di protesi totale di ginocchio, si è fatto molto in termini di tecniche chirurgiche, materiali delle protesi, controllo del dolore, gestione delle perdite ematiche. Non si è fatto altrettanto nel campo della cosiddetta “preriabilitazione”, ovvero dei programmi di fisioterapia prima dell’intervento.
Esistono attualmente tecniche chirurgiche mininvasive che risparmiano i tessuti molli e il tessuto osseo riducendo il trauma.
Questo si traduce in: minor dolore, minor uso di farmaci, ripresa funzionale più veloce, riduzione dei tempi di degenza, piú rapido ritorno al lavoro o alla vita di tutti i giorni. Le protesi sono di misure più contenute, quindi meno invasive, sono non cementate con superfici rugose che aderiscono molto bene all’osso e quindi permettono un carico, cioè una deambulazione immediata.
Esistono tecniche anestesiologiche locoregionali, blocchi nervosi periferici, pompe d’infusione endovenose con cocktail di farmaci, che hanno notevolmente migliorato il controllo del dolore postoperatorio. Le perdite ematiche sono molto ridotte grazie alla mininvasività che prevede -oltre a un minor traumatismo tissutale- una emostasi oculata anche dei piccoli vasi. Esistono inoltre programmi di risparmio del sangue grazie a predepositi personalizzati e/o emodiluizione intraoperatoria.
Tuttavia spesso viene messo in secondo piano il programma fisioterapico preoperatorio mirato ad accompagnare il paziente all’intervento, che finisce per arrivare in sala operatoria con un ginocchio dolente, rigido e con una ridotta forza muscolare del quadricipite associata ad uno spasmo della muscolatura ischio-crurale che si somma talvolta alla presenza di limitazione delle articolazioni limitrofe di anca e caviglia.
La FKT preoperatoria o “preriabilitazione” è una metodica non comune, per lo meno in Italia. Viene adottata in altri Paesi quali: nord Europa, nord America, Canada, Australia, è una pratica a basso costo che permette di risparmiare fondi allo Stato. È una sorta di preparazione per il paziente che deve sottoporsi all’intervento di protesi di ginocchio, paragonabile a quella di un’atleta che deve affrontare una gara. Non si può partecipare ad una maratona in mancanza di un allenamento adeguato. Gli esercizi di rinforzo della muscolatura, di stretching e di articolarità giocano un ruolo altrettanto importante. In questa metodica preriabilitativa riteniamo basilare dare informazioni al paziente sul decorso postoperatorio e sulle situazioni cui andrá incontro.